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La storia narra come l’eremita Pietro da Morrone, cioè Celestino V, Papa del “gran rifiuto”, fuggi verso le sponde dalmate rifugiandosi dapprima sul Gargano. Egli, approdato naufrago sulla spiaggia di Scialmarino di fronte al Santuario di Santa Maria di Merino,nel suo secondo tentativo di raggiungere la costa dalmata in cerca di solitudine eremitica e di pace in quella regione, fu qui riconosciuto dopo alcuni giorni (10 maggio 1295), e venne prelevato per essere condotto verso il castello di Vieste per poi essere portato verso la rocca di Fumone, dove trovò la morte. Storie e leggende Garganiche e Abruzzesi si intrecciano molto. Le montagne dell’ Abruzzo sono legate al Gargano, (ed anche a Vieste),non solo per Celestino V, ma anche per lo scambio di tradizioni, di animali e di merce che avveniva durante il periodo della transumanza. Esiste ancora oggi il tratturo della transumanza anche se da Vieste, forse perché più facile, la transumanza avveniva  soprattutto percorrendo la costa. Probabilmente è attraverso la transumanza che sono state trasmesse leggende, tutt’ora narrate di padre in figlio. Una di queste è il ritrovamento di un  quadro, attualmente custodito nel santuario mariano di Pràtola  Peligna, e che raffigura la Madonna della Libera. Il trasporto dell'effigie della Madonna è molto simile (forse uguale)  alla leggenda del ritrovamento della statua di Santa Maria e alla contesa tra Vieste e Peschici.

Si racconta infatti del rinvenimento di un quadro –come già detto  attualmente campeggiante sull’altare principale del Santuario situato nella ridente cittadina di Pratola Peligna - raffigurante la Vergine in atto di proteggere i devoti, fra cui il papa Celestino V, trepidamente raccolti sotto il suo manto.

A trovarlo,Affresco.jpg agli inizi del 1500, sarebbe stato un tal Antonio Fortunato che, malato di peste, si era rifugiato tra i ruderi di una antica chiesetta campestre, alle falde del monte Cerrano, per attendere in un luogo sacro l'ormai prossima fine. Addormentatosi, vide in sogno  una Donna bellissima, vestita di rosso e con un manto celeste, che si presentò come "Liberatrice", assicurando l'immunità dalla peste per lui e per tutto il popolo. Svegliatosi, intravide tra le macerie un occhio che lo fissava; scavò e vide affiorare via via una figura divina. Informata del fatto, la gente accorse raccogliendosi in preghiera.

Poi fu deciso di portare l'immagine in paese, con un carro trainato da buoi. A questo punto, sarebbe sorta una contesa da parte dei vicini sulmonesi (forse per l'incerta collocazione territoriale del luogo del ritrovamento), che volevano per sé la prodigiosa immagine. Si decise allora di risolvere il tutto lasciando ai buoi la scelta del luogo verso cui dirigersi. I sulmonesi attaccarono al carro i loro animali,che erano sette, ma il carro non si mosse. I pratolani attaccarono  solo due buoi e, con grande sorpresa il carro comincio a muoversi e, senza esitazione si diresse verso Pràtola  fermandosi nel posto in cui cominciarono a costruire una cappella nel 1540, per poi ampliare il tutto in un grande e visitato Santuario.

Una leggenda importata a Vieste dall’Abruzzo o da Vieste trasferita in quella Regione? Forse non lo sapremo mai, ma spesso è proprio la fantasia che accomuna i popoli e li rende fratelli.

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