(da “la città e la Madonna di Merino” di Don Marco della Malva)
Il 7 maggio 1680 ci fu un’inchiesta sulla processione. Dalle deposizioni di Livio Fasano, di anni 45, e di Leonardo de Salvato, di anni 42, l’uno e l’altro cittadini viestani, ho ricavato quanto segue.
Merino fu distrutta da guerre. Di essa resta nel Piano Grande soltanto la chiesa. Per ricordare la città distrutta, ogni anno, il 9 di maggio, si festeggia Santa Maria di Merino.
Per la circostanza, il camerlengo è investito di giurisdizione dalla regia corte, gli si affida il comando civile e militare della città, perché della festa egli è il responsabile.
Quando la prima volta conobbi come avveniva l’investitura del comando al camerlengo, non nascondo che restai sorpreso e pensai che, ai tempi nostri in cui le tradizioni risorgono e per rivivere il passato e per incrementare il turismo, non sarebbe da disprezzare il rimettere su un bello squadrone di soldatini di piombo con divisa spagnuola agli ordini di un bel camerlengo investito di pieni poteri per vivere le sue ventiquattrore di gloria. Quanta gente verrebbe per sentirsi con noi per un giorno in pieno Seicento.
Le cose andavano così: ai primi vespri, il tamburino girava per il paese e gli uomini validi che si costituivano forza armata,convenivano presso il camerlcngo. Quando lo squadrone, in bella divisa e armi lucenti, era pronto, con bandiera e tamburo in testa, saliva al castello.
Presso l’ingresso si schieravano e i militari del castello e il nostro squadrone fatto di civili armati che aveva accompagnato il camerlengo. E, mentre gli uni e gli altri, schierati a fronte, presentavano le armi, il castellano, rappresentante di S. M. Cattolica o Cesarea, Dio guardi! (a secondo che a comandarci era lo spagnolo o l’austriaco), in grande uniforme, consegnava al camer]engo lo scettro, il bastone del comando.
Scambiatisi i convenevoli, il camerlengo si concedeva dal castellano e con i suoi militi ben ordinati, sempre preceduti dalla bandiera e dal tamburino, si allontanava a vivere le sue 24 ore di celebrità.
La cerimonia si ripeteva il giorno dopo, a festa finita, quando il camerlengo riconsegnava al castellano il bastone del comando.
Nei primi vespri, dunque, il camerlengo invita il clero e il capitolo a recarsi a Merino il giorno dopo. Pone lo squadrone dei cittadini armati agli ordini di un capitano, di un alfiere e di un sergente. La mattina del 9, terminata in cattedrale la recita dell’ufficio, la forza armata ordinatasi a mò di squadrone, si reca innanzi alla chiesa ove si schiera.
Il clero prepara, ordina la processione e preleva dalla cappella della città la statua di Santa Maria di Merino, cioè della S.ma Annunziata.
Il camerlengo fa porre e accendere nella forma più artistica i lumi innanzi alla sacratissima immagine, lumi già approntati nella cappella.
Inizia la processione. Essa attraversa la città ed esce per la Porta Grande, la Porta di Basso, detta anche Porta di Mare. I cittadini seguono in processione sin fuori la città, all’altezza della chiesa dei cappuccini, sulla Via della Fontana Vecchia, ove la processione termina.
La statua qui viene consegnata ai confratelli delle congreghe di 5. Antonio e della Trinità. Seguono la statua a Merino i sacerdoti che canteranno la messa, il camerlengo e le persone armate.
La statua torna a Vieste nel medesimo giorno. Questa festa si celebra ogni anno e ab immemorabili~
Il camerlengo procura le cavalcature alle dignità e ai canonici che si recano a Merino a celebrare la messa. Egli, ai primi vespri, ha già mandato a Merino i parati necessari per celebrare, li fa custodire e ha cura di farli riportare in città.
All’Amministsrazione Comunale incombe l’obbligo di offrire il vitto a quelli che accompagnano la Madonna e di rendere comodamente transitabili i tratturi. L’Amministrazione dell’Università, nell’offerta del vitto si serviva del camerlengo.
Ascoltate le testimonianze, la Curia sentenzlo: « ... perché la processione avvenga con ogni solennità, dal camerlengo si appronti il cibo a coloro che seguono sino a Merino l’immagine della S.ma Vergine Maria, e cioè ai sacerdoti, alla forza armata, ai canonici e alle dignità.
Dai priori delle confraternite si dia il cibo ai confratelli e ai procuratori di esse secondo l’antichissima usanza emersa dal giudizio.
Il camerlengo prepari i lumi necessari che richiede la venerazione della S.ma Vergine e faccia recare, inoltre, a Merino quanto necessario al ministero dell’altare mancante nella chiesa... ».
Il verdetto è accettato e sottoscritto da tutti gli interessati. Firmano il vicario generale, arcidiacono Pisani Giuseppe, il sindaco Francescantonio Foglia, il camerlcngo Bartolomeo Manchi, gli eletti Sebastiano Saetta, Antonio Tantimonaco, Simone Cariglia, Francesco Grana, il priore della Trinità Leonardo Antonio Micelli e Francesco Mendiola, priore di Sant’Antonio.
Dalla sentenza emerge che il camerlengo non voleva soddisfare determinati obblighi come da antica consuetudine. Il motivo della lite in verità non c’interessa. Il sorprendente è che da un banale incidente ci perviene la gioia di conoscere che nel 1600la processione della Madonna si svolgeva sostanzialmente come oggi.
Ora non gira più il tamburo a invitare i volenterosi ad armarsi per l’indomani. Non c’è bisogno. E’ cessato l’incubo d’incontrarsi con una banda di barbareschi annidata in un qualsiasi fabbricato fuori mano, alla svolta di una strada, sotto un canneto o proprio nella chiesa di Merino.
Sino al 1830 circa, al contrario, era molto facile uscire di città e non fare più ritorno, perchè si poteva incappare nelle mani dei Barbareschi volgarmente detti Turchi, ed essere menato schiavo in Libia, in Algeria, in Tunisia, in Marocco, in Albania o nelle isole ad essa vicine.
Questo è il motivo per cui per secoli, da quando sorse il pericolo turco, la Madonna portata a Merino veniva scortata da cittadini armati.
Non mi soffermo su altre possibili differenze, il lettore se le spiega da sé.
Ciò che invece sottolineo sono le affermazioni riguardanti il tempo e la frequenza della processione. Gli interrogati deposero che essa avveniva il 9 maggio, ogni anno, e ab immemorabili.