Se è a tutti nota la statua mariana venerata in Cattedrale pochi sanno che esiste un'Annunziata più piccola e più antica, che conferma le origini ancor più risalenti nel tempo del culto. 

Non c'è persona a Vieste che non conosca l'usanza secolare di partecipare alla pro­cessione che vede  il 9 maggio di ogni anno migliaia di fede­li, molti dei quali rientrati an­che in paese per l'occasione, incamminarsi in processio­ne dalla città del Pizzomun­no fino alla chiesa di S. Maria di Merino, sulla litoranea che conduce a Peschici. Un rito segno di profonda devozione che fa parte del patrimonio storico e cultu­rale della città garganica. Ma se è a tutti nota la statua di Santa Maria di Merino venerata in Cattedrale, in pochi sanno che esiste un'Annun­ziata più piccola e più antica, che pare confermare le origi­ni ancor più risalenti nel tempo del culto mariano a Vieste. E' quanto spiega il professor Francesco Innangi nel suo libro "S. Maria di Marino - Storia di un'Immagine nei secoli". L'Attacco ha intervistato l'autore del libro, che contie­ne molte notizie finora inedi­te. Francesco Innangi, nato a Vieste nel '47, si è laureato due volte: in teologia e in sto­ria e filosofia. Per vent' anni è stato a Napoli docente di reli­gione e, presso il prestigioso liceo "Vittorio Emanuele"; anche di storia e filosofia. Nella sua natìa Vieste fa ritor­no ogni anno in occasione della stagione estiva. L’idea di scrivere un libro dedicato alla Santa tanto amata dai Viestani non è nata per caso, "E' una decisione nata da quella che potrei definire un'illuminazione", spiega a l'Attacco. "La mia famiglia, gli Innangi, a Vieste era origi­nariamente custode del ci­mitero. Mio nonno si trovò così a venire in possesso di una statua lignea raffiguran­te l'Annunziata di Vieste, dell'altezza di circa 30 cm. santa_maria_fam_innangi.jpgUna statua dunque più piccola di quella di Santa Maria di Me­rino conservata in Cattedra­le, alta all'incirca 100 cm: ma soprattutto più antica: La statua di Vieste è stata scolpi­ta tra il 1480 e il 1503. In que­sta data infatti Vieste passò alle dipendenze di Fernàn­dez de Cordoba, primo vice­ré del nuovo regno aragone­se di Napoli. Quindi lo sculto­re è quasi sicuramente Pietro Alamanno. La seconda statua, di proprietà della mia fa­miglia sin dal suo ritrovamento, è di certo anteriore a tale data. Io credo che sia del XIII secolo, ovvero della stes­sa epoca in cui fu realizzata la ristrutturazione della Catte­drale. Sono portato a credere, dopo aver messo insieme più prove o "indizi" di tale ricostruzione storica, che la sta­tua, anzi, sia stata realizzata insieme alla nuova Cattedra­le". Una scoperta non da po­co, che trova conferma, tra le altre cose, nell'analisi al ra­diocarbonio. "L'ho fatta ese­guire dagli esperti dell'Università del Salento di Lecce ed ha dimostrato che questa statua più piccola è di epoca precedente al 1480, data a cui risale la statua mariana vene­rata nella Cattedrale di Vie­ste. Per me questa analisi rappresenta un altro tassello che conferma come il culto e la tradizione di Santa Maria di Merino siano millenarie a Vieste. Inoltre", prosegue In­nangi, "si tratta di un' Annun­ziata' una delle rappresentazioni più frequenti in ambito bizantino e in Adriatico. Ciò dimostra l'origine bizantina del nostro culto mariano". Particolarmente interessan­te è anche lo studio che il do­cente viestano ha compiuto sul gesto delle due Madonne Annunziate. "Il gesto è quello che rimanda al fuso, all'atto di fare la matassa e di sroto­larla. Era una rappresenta­zione tipica dell'iconografia mariana del XIII secolo, quando la Madonna non era raffigurata nell'atto della preghiera quanto piuttosto in quello del lavoro sul suo fuso. La Madonna Annun­ziata che fila, o che fa la ma­tassa, è molto comune nel­l'antichità, soprattutto nel­l'area adriatica gravitante at­torno a Bisanzio. Non di­mentichiamoci che fino al 1054, anno dello scisma d'Oriente, buona parte dell'Italia meridionale era sog­getta giuridicamente e culturalmente a Costantinopoli. Anche questo gesto è una te­stimonianza dell'antichità del culto e della statua ritro­vata da mio nonno". Il libro di Innangi, con le sue teorie e studi, pare dunque davvero innovativo rispetto alla conoscenza attuale di una pagina importante della storia e della cultura viesta­na. "Mi spingo oltre: per me si tratta di qualcosa di rivolu­zionario", commenta il professore. "Anzi, ho una teoria ulteriore: credo che la statua piccola appartenga al più grande scultore del XIII seco­lo, Nicola Pisano. Ovviamen­te quest'attribuzione è opi­nabile, ma l'antichità di que­st'opera credo sia ormai di­mostrata ampiamente". 

                                                                                                  Lucia Piemontese 
                                                                                                        L’Attacco

 

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