“Io penso di vedere qualcosa di più profondo, più infinito, più eterno dell'oceano nell'espressione degli occhi di un bambino piccolo quando si sveglia alla mattina e mormora o ride perché vede il sole splendere sulla sua culla.”
Vincent van Gog
Oggi la nostra città di Vieste si è arricchita di una nuova nascita.
Oggi il direttivo del nostro Comitato di Santa Maria di Merino è in festa perché è nato Nicholas, nipotino del nostro responsabile dei progetti di relazione il Dr. Bartolo Baldi che, con gioia, ci ha comunicato la bellissima notizia che stavamo aspettando.
Ai neo genitori Matteo Esposto, zelante confratello della congrega di Sant’Antonio di Padova e a Floriana, figlia di Bartolo e nostra amica carissima, porgiamo con attenzione i nostri più cari auguri.
Quando nasce una vita non possiamo che esultare perché è segno che Dio non si è ancora stancato dell’uomo.
Affidiamo alla protezione di Santa Maria di Merino il piccolo Nicholas augurandogli una vita felice, sana e santa.(IL PRESIDENTE)
Durante l'estate sono davvero tante le visite che i turisti effettuano nella cattedrale di Vieste. Non si può certamente non notare l'imponente campanile che, slanciato verso l'alto, è visibile da qualsiasi punto della città e in gran parte del suo territorio costiero. Con il campanile fa eco anche tutto il complesso monumentale della chiesa, ma con una facciata molto povera quale conseguenza di frequenti incursioni piratesche e soprattutto di terremoti. Tuttavia pensiamo che la collocazione di porte in bronzo, o in legno decorato,raffigurante sinteticamente gli eventi storici di Vieste, e soprattrutto del monumento, non guasterebbero affatto, anzi darebbero un tocco di arte e di ricchezza in più alla troppo povera facciata. Entrando nella cattedrale si respira tuttavia la storia e la vetustà del nostro centro storico. Oltre alle colonne, alla volta e alle tele,sono la cappella di Sant'Anna e di San Michele ad attirare molta attenzione. Qui sono esposti alcuni reperti archeologici ritrovati durante i lavori di restauro della cattedrale, tra cui un sarcofago longobardo dell’VIII secolo. Riportiamo alla memoria il finire degli anni '70, quando erano in corso i lavori radicali di restauro. In particolare il compianto Monsignor Don Mario Dell'Erba "non era in sè dalla gioia e meraviglia" quando gli comunicarono di aver fatto un ritrovamento importante proprio sotto il pavimento della chiesa. Don Mario ci indicava il posto, più o meno era vicino alla navata di destra, ma molto confinante con la navata principale dove era nascosto il coperchio di un sarcofago longobardo quasi a voler chiudere forse un piccolo fossato. Non venne trovato null'altro, ma rimase molto profondo il dubbio che non ci fosse da qualche parte anche tutto il resto, oppure che ci facesse questo coperchio pressocchè intatto e solo lesionato in modo molto leggero? Certamente fu una scoperta importante, come importanti furono tutti gli altri ritrovamenti di cui la maggior parte sono visibili nelle due cappelle.
La chiesa, fondata in gran parte sulla roccia, versa nella sua parte di sinistra su un terrapieno con alcune cavità che furono sfruttate negli anni storici a cimitero o forse ossario. Seppur molto piccole,non si potrebbe pensare in qualche modo a renderli visitabili a chiunque?
Chi ha composto la preghiera dell’Ave Maria?
Fra tutte le preghiere che conosciamo a memoria, l’Ave Maria è sicuramente la più dolce e la più recitata.
Già dalla tenera infanzia i bambini, aiutati dalle loro mamme , la recitano con la naturalezza di chi vede e sente la mano della Mamma Celeste poggiarsi sul proprio capo nel ritrovare la tranquillità che soprattutto le ombre della notte dissipano. Ed è con la preghiera dell’Ave Maria che il moribondo viene accompagnato verso l’ultimo respiro.
La prima parte di questa antica preghiera riprende due versetti evangelici, uno tratto dal brano dell’Annunciazione (Lc 1,28 «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te») e l’altro dall’episodio della Visitazione (Lc 1,42 «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo»).
Per molti secoli la preghiera dell’Ave Maria si fermava con la prima parte della sua versione attuale, riprendendo le parole della Sacra Scrittura. Nel XV secolo sono state aggiunte - ai due versetti evangelici - il nome di Gesù, la seconda parte della preghiera e l’Amen finale.
E’ Difficile poter risalire a chi ha composto le parole «Santa Maria, Madre di Dio…» perché, con la diffusione degli ordini religiosi mendicanti e predicatori, la preghiera dell’Ave Maria si diffuse in tutto il mondo dando origine anche a formule con sfumature letterarie diverse. Tutte sono espressioni care alla vita di fede e di preghiera di ogni cristiano. La definizione ufficiale dell’«Ave Maria», come la recitiamo oggi, la troviamo nel Breviario romano promulgato da San Pio V nel 1568. Da ciò si può affermare che questa preghiera ci viene affidata dalla Sacra Scrittura (dal brano dell’Annunciazione e della Visitazione), dalla tradizione della Chiesa e dal Magistero del Papa.
Una versione poetica dell’Ave Maria, tra le più belle e più musicate, la troviamo anche nella Divina Commedia. Il canto conclusivo del Paradiso si apre sulle parole di san Bernardo di Chiaravalle (1109-1153). A lui è affidato il compito di supplicare la Vergine perchè Dante, al termine del suo viaggio nell’oltretomba, possa finalmente vedere Dio. Bernardo si rivolge alla Madonna con una preghiera che ricalca il tradizionale schema dell’Ave Maria: nella prima parte (vv. 1-21) si svolge la lode della Vergine; nella seconda (vv. 22-39) è contenuta la preghiera vera e propria. Il poeta arricchisce il modello ispirandosi all’innografia mariana in latino e, al tempo stesso, lo adatta ad esprimere la propria visione della realtà. Per comodità di spazio riportiamo solo i primi versi citati dal Sommo Poeta Dante Alighieri, ma il lettore può ricercare tutti i versi attraverso internet. Quello che il poeta scrive non è solo poesia, ma espressione pura di chi nella preghiera alla Vergine chiede l’avverarsi di tutti i desideri.
«Vergine Madre, figlia del tuo figlio1,
umile e alta più che creatura2,
termine fisso d’etterno consiglio3,
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ’l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura4
Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore5.
CONCLUSO SOLENNEMENTE IL PROCESSO DIOCESANO SULLE VIRTU' DI
DON ANTONIO SPALATRO
Don Antonio era prima di tutto un uomo, ma è attraverso la sua natura umana che ha imparato ad essere il prete della gente, e quindi il prete dell’accoglienza, dell’umiltà e della spontaneità. Lo ripeteva spesso sia durante gli anni di seminario che durante i pochi anni in cui ha potuto essere il prete della gente: "Signore, insegnami ad essere un seme che sa nascondersi, sa marcire, sa morire. ".
Quanto dovrebbero somigliare tutti i preti a quel prete di Vieste che ora la gente acclama santo e di cui la Chiesa universale si appresta a meglio conoscerlo per poi poter ( speriamo subito) riconoscerlo agli onori degli altari. E lo ripeteva spesso proprio Don Antonio: “ogni prete dovrebbe essere tale da non essere dimenticato dopo la sua morte”
Già gli alunni di prima e seconda media, coordinati dalle loro insegnanti,in occasione della festa a Maria, che si è tenuto durante il novenario in onore di Santa Maria di Merino del 2019, hanno portato avanti un progetto di conoscenza e approfondimento della figura del santo sacerdote viestano, attraverso la visita ai luoghi dove egli è vissuto e soprattutto ha realizzato la sua vocazione ad essere prete ed ad essere santo: La parrocchia e la povera gente. Il tutto è stato reso noto con un bellissimo video la cui eloquenza è stata premiata al concorso nazionale del Politecnico di Milano, giungendo addirittura in finale. Un pubblico molto vasto,dunque, che ha potuto apprezzare gli sforzi dei nostri ragazzi e la loro disinvoltura nell’uso degli strumenti digitali.
Don Antonio Spalatro “ha terminato il cammino” previsto dall'inchiesta diocesana per entrare nella fase più elaborata della Santa Congregazione della causa dei Santi, al fine di poter essere proclamato “venerabile” quando termineranno tutte le indagini sulla sua vita, sui suoi scritti e sulle testimonianze.Ci vorranno circa due anni, hanno sottolineato sia il Vescovo Padre Franco - che ha presieduto il solenne rito di chiusura del processo - che alcuni sacerdoti che hanno condotto ed elaborato l'inchiesta, ma siamo tutti fiduciosi che questo avvenga presto. Ma solo la realizzazione di un miracolo, vagliato attentamente, lo potrà portare agli onori degli altari della nostra Arcidiocesi come beato e successivamente come Santo della chiesa universale.qualora si dovesse compiere un altro miracolo.
Per questo, ha detto ancora l’Arcivescovo, tutti siamo chiamati a pregare per poter avere il nostro santo e, soprattutto, tutti siamo chiamati a mettere in pratica il suo costante esempio." Non ho avuto troppo tempo per leggere i suoi scritti, ha concluso l'Arcivescovo durante l'omelia. Ma ho potuto capire quanta sia stata evidente la sua santità. Voi siete un territorio che oltre ad essere stato arricchito della bellezza della natura, siete anche ricchi di Santi. Oggi i nostri occhi vogliono guardare a questo giovane sacerdote che in poco tempo ha santificato la nostra chiesa particolare di Manfredonia, Vieste e San Giovanni Rotondo, e soprattutto ha santificato voi"
UNO STEMMA CHE E' PROGRAMMA DI VITA
Domenico D’ambrosio nato a Peschici (FG) il 15 settembre 1941 fu ordinato sacerdote il 19 luglio 1965.
Venne eletto alla sede vescovile di Termoli - Larino il 14 dicembre 1989 e ordinato Vescovo il 6 gennaio 1990.
il 27 maggio 1999 fu promosso alla sede piu importante di Foggia – Bovino, per essere trasferito a Manfredonia - Vieste - San Giovanni Rotondo l'8 marzo 2003, dopo il trasferimento a Termoli del compianto Monsignor Vincenzo D’Addario il 16 aprile 2009. L’ultima tappa della sua missione arcivescovile è iniziata a Lecce Il 29 settembre 2017. Per sopraggiunti limiti di età ha definitivamente lasciato l’incarico a guida di una diocesi per dedicarsi comunque alla sua missione importante di Vescovo emerito nella sua e nostra diocesi di origine.
Monsignor D’Ambrosio non ha mai dimenticato la sua terra e in particolare non ha mai dimenticato Vieste, di cui si onora di essere cittadino onorario, e dimostrando sempre il suo attaccamento alla nostra citta e alla nostra chiesa tanto da non lasciarsi mai sfuggire l’occasione di essere presente ogni qual volta venga invitato.
Monsignor D’Ambrosio ha donato alla nostra città e in particolare alla nostra Protettrice Santa Maria di Merino il titolo di Santuario Diocesano alla chiesa a Lei dedicata. Inoltre si è fatto promotore per i restauri verso la sua effigie. Ma alla nostra chiesa locale, tra i tanti doni che non ci sono noti, ne ha fatto uno un pò particolare. Lo abbiamo scoperto per caso osservando alcuni stemmi antichi che sono affissi sul muro esterno del palazzo vescovile: la riproduzione del suo stemma.
Lo stemma di Mons. D’Ambrosio è di origine eucaristica e riprende la leggenda del pellicano nel deserto che si trafigge il costato per dar da mangiare ai suoi piccoli, come Cristo muore sulla croce per la salvezza dell’uomo. Monsignor D’Ambrosio è venuto in mezzo a noi con un obiettivo ben preciso, quello di essere testimone della fedeltà e della misericordia di Dio, come è indicato nello stesso motto episcopale: “misericors et fidelis”. Consapevole della grande responsabilità che gli è stata affidata, ha avuto sempre la certezza dell’aiuto della grazia divina.
Uno occasione che offriamo al viestano o al visitatore per ammirare quello di bello, di artistico e di antico che il nostro centro storico offre. Ci sono altri stemmi. Approfondiremo le nostre indagini per allargare le nostre conoscenze storiche.